Ddl “Sicurezza stradale” del Ministro Salvini:  tutto quello che dobbiamo sapere di una riforma che ignora l’analisi scientifica

La sicurezza stradale è un tema fondamentale nella nostra società, ha causato 3.159 morti e 223.475 feriti solo nel 2022 ed è la prima causa di morti per i giovani sotto i trenta anni. FIAB, grazie al prezioso lavoro di analisi portato avanti dal Centro studi, continua a ribadire la necessità di adottare un approccio scientifico per affrontare l’emergenza legata alla violenza stradale. Infatti nel 2022 i morti in collisioni stradali sono aumentati del 9% rispetto al 2021, anche se sono leggermente in diminuzione rispetto al 2019, ultimo anno pre-Covid. Le principali cause di morte sono (ISTAT) l’alta velocità, la guida distratta, il mancato rispetto degli attraversamenti pedonali e il mancato rispetto della distanza di sicurezza.

In particolare le vittime sono aumentate in tutti i segmenti di utenti della strada rispetto al 2021, fatta eccezione per i ciclisti (-7%) per i quali la mortalità continua a diminuire (-33% negli ultimi dieci anni, -50% negli ultimi venti) a fronte di un forte incremento della mobilità ciclistica a dimostrazione del principio safety in numbers, ovvero più ciclisti, più sicurezza per tutti.

L’analisi del DDL: uno strumento che aggrava la strage che avviene sulle nostre strade

Un’analisi approfondita del DDL ci è offerta da Edoardo Galatola, responsabile sicurezza FIAB e membro del Centro Studi, e Andrea Colombo, Consulente esperto di mobilità sostenibile, sicurezza stradale e spazio pubblico. Dalle loro osservazioni emerge un’impostazione preminentemente coercitiva e di inasprimento delle sanzioni. Di seguito l’analisi delle misure proposte dal Ministro Salvini.

Tolleranza zero per “ubriachi e drogati al volante”.

In realtà non aumentano i controlli ma solo le sanzioni: in Italia si fanno sei volte meno alcoltest su strada rispetto alla Francia e alla Spagna. Gli incidenti con lesioni (dati MIT 2021) sono causati per il 4,4% da conducenti sotto l’effetto dell’alcol e per il 1,4% di droghe, per un totale di 180 morti su un complessivo di 3159 nel 2022. È un problema, ma non certo la principale cause di incidenti gravi.

Viene predisposto il divieto assoluto di bere alcol per i neopatentati prima di mettersi al volante e l’obbligo per i recidivi dell’alcolock, ma le modalità di introduzione e di obbligo dello strumento sono vaghe (può essere azionato dal passeggero?) e riguarderebbe un numero ristretto di persone, per cui resta un provvedimento sperimentale.

È prevista la sospensione della patente per chi viene fermato dopo aver assunto droghe, per chi è sorpreso alla guida col cellulare, per chi viaggia contromano e, più in generale, per chi adotta comportamenti che statisticamente possano causare più frequentemente incidenti.

Viene data enfasi al divieto di conseguire la patente fino a 24 anni per minorenni che guidano senza patente. Il rischio concreto è che la persona che ha guidato senza patente a 17 anni, continui a farlo fino ai 24. E il maggiorenne che guida senza patente viene trattato allo stesso modo?

Tutto ciò (nel DDL) senza alcun aumento dei controlli. È bene ricordare che è giusto stigmatizzare i comportamenti nocivi, ma che l’inasprimento delle pene non è mai un deterrente.

Stretta alle ZTL

Al contrario viene proposta una stretta sull’introduzione delle ZTL (definite “zone a traffico limitato di buon senso”) e viene lanciata una campagna contro “gli autovelox truffa”. Il decreto va quindi nella direzione di ridurre i controlli e le sanzioni proprio per quelle che sono le principali cause degli incidenti, ovvero l’eccesso di velocità, la distrazione e il mancato rispetto degli attraversamenti pedonali. L’Italia è il fanalino di coda per controlli della velocità: in Austria si comminano 12 volte le sanzioni rispetto all’Italia, in Olanda 10 volte, in Belgio 6.

Misure che disincentivano la micromobilità: una campagna ideologica

Quando nel DDL si passa a trattare l’utenza vulnerabile (non a caso il DDL riutilizza la vecchia definizione di utenza debole che è stata abolita dal Codice), le norme vanno in direzione opposta alla sua promozione. Per quanto riguarda i monopattini le restrizioni e limitazioni sono così numerose e dissuasive da ritenere che si voglia fortemente penalizzare il settore della cosiddetta micromobilità elettrica, con limitazioni che non hanno eguali nella maggior parte dei paesi europei. Ne è previsto l’obbligo di targa e assicurazione, rafforzato il divieto di uso in aree extraurbane, l’equiparazione a motocicli e ciclomotori, il casco obbligatorio per tutti, il divieto di sosta, il sequestro, etc.

Sembra sia più una campagna ideologica che basata sui fatti. Per i monopattini elettrici, infatti, già oggi la velocità massima consentita è di 20 km/h e a queste velocità il rischio di letalità per impatto è quasi nullo, mentre l’unico rischio è quello di essere investiti da un mezzo motorizzato ad alta velocità. I dati ISTAT 2022 confermano che la mortalità per questo mezzo è bassa. Scontano il disagio causato da un uso poco maturo del mezzo da parte di alcuni utenti. Anche per i monopattini è una questione di controlli: uno studio FERSI dice che in Italia le norme sui monopattini non vengono fatte rispettare. I monopattini elettrici al contrario sono diventati una parte importante della mobilità sostenibile, in particolare dell’ultimo miglio, in combinazione con il TPL. L’effetto della norma pertanto non sarà la riduzione di incidenti e decessi, ma solo il disincentivo all’uso di un mezzo di locomozione ecologicamente vantaggioso.

Il piano “salva i cicliclisti” (ma sarebbe meglio dire “scoraggia ciclisti”)

Passando alle biciclette il DDL parla di un Piano “salva i ciclisti”. In realtà l’unico provvedimento che va in questa direzione è il divieto di sorpasso della bicicletta da parte degli altri veicoli a meno di 1,5 metri di distanza laterale, reso però vago e quindi inapplicabile dalla precisazione “ove le condizioni della strada lo consentano”. Per il resto le norme sulla ciclabilità indeboliscono tutti i provvedimenti migliorativi che erano stati introdotti nel Codice nel 2020, con il DL n. 76.

La corsia ciclabile può essere realizzata solo se non c’è lo spazio per una pista ciclabile (il doppio senso ciclabile anche). Viene cancellato l’obbligo per gli automobilisti di dare la precedenza alle bici se la strada è stretta. La casa avanzata viene sostituita da una “zona di attestamento ciclabile” ammessa solo su carreggiate con un’unica corsia per senso di marcia e solo se c’è una pista o corsia ciclabile. La strada urbana ciclabile non è più identificabile con la segnaletica orizzontale. Tutte queste soluzioni vengono infine sospese, in attesa di un futuribile regolamento di attuazione.

Anche la nuova zona ciclistica va nel senso di confinare le biciclette in riserve protette; un’impostazione esattamente opposta alla Città 30, che si basa sulla condivisione rispettosa dello spazio stradale urbano. Per quanto concerne il rafforzamento dell’educazione stradale nelle scuole, tutto viene ricondotto al bonus di due punti sulla patente per i ragazzi che abbiano frequentato corsi sulla sicurezza stradale. Provvedimento ininfluente, mentre temi quali la mobilità sostenibile non vengono neanche ipotizzati.

Ddl sicurezza stradale, una riforma anacronistica senza basi scientifiche: la richiesta di modifica

L’Art. 17 del DDL, delega al Governo entro un anno “la revisione e il riordino della disciplina concernente la motorizzazione e la circolazione stradale”. L’esperienza degli Stati con tassi di incidentalità ben inferiori a quelli italiani dimostra che, per mettere in sicurezza le persone che pedalano, è necessario promuovere fortemente l’uso della bicicletta e ridurre la velocità dei veicoli motorizzati.

Il disegno di legge appare andare nella direzione opposta, con ben tre principi e criteri di delega che di fatto si fondano sull’idea errata che il problema della sicurezza dei ciclisti sono i comportamenti dei ciclisti stessi e le infrastrutture ciclabili, anziché, il traffico motorizzato (a cui, in base ai dati ISTAT 2021, è imputabile il 94% degli incidenti stradali). La soluzione non è certo aggravare le regole di comportamento per chi sceglie la bici, costringendo a dotarsi di dispositivi di identificazione (targa) e di protezione passiva (casco obbligatorio), rivedere in senso restrittivo le regole di circolazione delle bici, circoscrivere la realizzazione delle infrastrutture ciclabili limitando l’autonomia dei Comuni nella progettazione e regolazione della mobilità urbana.

Inoltre, non appare corretto il persistente richiamo congiunto dei velocipedi e dei dispositivi di micro-mobilità elettrica: i primi sono a propulsione umana (totalmente muscolare o, al più, assistita), mentre i secondi sono a propulsione esclusivamente motorizzata. Perciò si ritiene debba essere evitata la sostanziale equiparazione tra le due tipologie di veicoli e l’assoggettamento alle medesime regole (in coerenza con la recentissima Sentenza della Corte di giustizia UE del 12/10/2023 nella causa C-286/22).

Da ultimo, si considera pericoloso aprire la prospettiva di un aumento dei limiti massimi di velocità, considerato che la velocità è una delle primissime cause di incidentalità mortale ed è in ogni caso sempre fattore di aggravamento degli effetti delle altre violazioni. Per le motivazioni esposte si è ritenuto necessario proporre lo stralcio di alcune delle norme elencate nel DDL Sicurezza stradale, suggerendo la possibilità di integrarne di nuove.

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